QUASSU’

Sembra che  oggi la città non voglia svegliarsi, sono le otto e trentacinque, le scuole sono piene, gli uffici si stanno riempiendo, le saracinesche tra rantolii metallici, si stanno alzando.

Qualcosa di insolito però galleggia nell’aria, anche se tutto sembra normale. Sarà l’arrivo del primo pallido sole che mi fa vedere tutto più tranquillo, quasi immobile. Forse sono io che ho le funzioni vitali ancora adagiate sul cuscino, tuttavia provo una strana sensazione di vuoto, che si materializza nella visione della città intorpidita. Riesco a malapena a udire lo sgangherato cigolare della bicicletta del postino da quassù.

Non che mi prema il brulicare produttivo delle teste che come in un alveare si rincorrono e si scontrano sui marciapiedi, solo mi disturba questa disattenzione latente. Le dieci e quarantadue.

Dagli uffici fuga per la pausa caffè, sempre con la flemma delle ore passate.

Mezzogiorno e mezzo .

Le scuole vomitano in strada una massa multiforme e multicolore di studenti, senz’altro ansiosi di raggiungere casa per il meritato vitto. Anche loro sembrano muoversi piano, quasi per non sciupare il marciapiedi.

Devo ammettere che da quassù la vita del suolo sembra molto più lenta. Pensare che quando stavo laggiù mi sembrava di correre fin troppo. Mentre in volto  assumo la fissità tipica dell’ottuso, mi vengono alla mente strani pensieri. Quassù è tutto tranquillo, non c’è confusione e anche laggiù sembra che non ci sia la frenesia di cui mi ricordavo. Altra cosa, tutti camminano a testa bassa, nessuno che guardi in alto.

Sono quassù, al settimo piano, seduto sul cornicione davanti alla finestra di camera mia che guardo giù.

E’ strano come dall’alto le cose si vedano meglio, con più calma, e non sono così brutte come sembrano quando ci si è in mezzo. Ed è curioso come nessuno guardi in alto, oltre la propria testa, tutti tesi ad evitare che ci nessuno   ci pesti i piedi, ma forse è meglio così. Se avessero alzato la testa mi avrebbero visto e si sarebbero preoccupati.

Ora però scendo, torno giù in strada, passando per le scale e mi rituffo nel torrente umano che scorre a testa bassa.

Mi suiciderò un’altra volta…